COMUNICATO SUL DECRETO LEGGE IMMIGRAZIONE
All’indomani della sconfitta del referendum che intendeva aumentare i poteri dell’esecutivo, il “nuovo” esecutivo Gentiloni ha adottato due decreti legge, in materia di sicurezza urbana ed immigrazione, che sono palesemente privi di quei requisiti di necessità ed urgenza che la Costituzione (quella attuale ed in vigore) imporrebbe. Basti pensare che si prevede che molte delle disposizioni del decreto immigrazione (quelle che modificano la disciplina – soprattutto processuale – della protezione internazionale) entrino in vigore non subito (come dovrebbe avvenire se la modifica fosse urgente), ma fra 180 giorni.
Questo però è solo uno dei tanti profili di incostituzionalità del decreto legge immigrazione: con esso si assiste ad una erosione dei diritti di difesa dei richiedenti asilo, come reso evidente dall’abolizione in tale materia del grado di appello, dalla previsione che anche davanti al Tribunale di regola non vi sia udienza ed il procedimento sia solo cartolare, dalla previsione che le udienze di convalida e proroga dei trattenimenti si tengano in videoconferenza.
Nella conclamata esigenza di semplificare e velocizzare i procedimenti giurisdizionali, in realtà, si pongono i presupposti per l’istituzione di procedimenti sommari, nei quali l’esercizio del diritto di difesa è sempre più un vuoto simulacro.
In procedimenti quali quelli relativi alla protezione internazionale, nei quali spesso la credibilità delle vicende narrate è determinante ai fini della decisione, un ruolo fondamentale ha l’oralità, la possibilità di procedere personalmente, da parte del giudice ed in contraddittorio, all’assunzione di informazioni da parte dell’interessato; e proprio tale possibilità viene dalla nuova normativa negata nella generalità dei casi (salva una diversa, auspicabile ma non probabile, decisione del giudice).
Nella stessa direzione di limitazione dei diritti effettivi della difesa vanno non solo l’abrogazione del grado di appello (tanto più grave in quanto applicata in una procedura che ha ad oggetto diritti fondamentali, ed in cui spesso ciò che viene denunciato è il pericolo, in caso di rimpatrio, di essere sottoposto a torture, o di essere ucciso, o di essere rimpatriato in una zona di conflitto, ed in cui dunque massime dovrebbero essere le garanzie di un processo pieno), ma anche la previsione di non applicazione della sospensione feriale dei termini (rendendo difficoltosa l’impugnazione, tenendo anche presente che il termine è di soli trenta giorni, ed in talune ipotesi di soli quindici giorni), l’introduzione di regole circa la notifica dei provvedimenti negativi che rendono assolutamente incerta l’effettiva conoscenza del provvedimento da parte dei reali destinatari (la notifica viene infatti effettuata nei confronti dei gestori dei centri di accoglienza, o per posta, nei confronti di soggetti spesso da poco giunti in Italia, privi di una rete di relazioni, spesso consegnati nelle “mani” di gestori di centri di accoglienza con pochi scrupoli, interessati più al profitto che la gestione dei centri può generare che ai soggetti che ospitano), l‘istituzione di 14 sezioni specializzate, che dovranno occuparsi di tutte le cause relative non solo alla protezione internazionale, ma anche alle questioni attinenti il diritto all’unità familiare e ai provvedimenti di allontanamento dei cittadini comunitari (per fare alcuni esempi, mentre oggi un diniego di rilascio del nulla osta al ricongiungimento familiare adottato dal Questore di Imeria è impugnato al Tribunale di Imperia, in caso di conversione in legge del decreto, tra sei mesi il ricorso dovrà essere fatto alla Sezione Specializzata di Torino; o un provvedimento di allontanamento di comunitario di Teramo dovrà essere impugnato a Roma). L’istituzione di queste sezioni specializzate comporterà una elevata concentrazione nelle sezioni del contenzioso, con la conseguente (forse auspicata dall’esecutivo) necessità di smaltire il contenzioso con decisioni sommarie (e in materie delicate e tecniche come queste spesso la fretta è nemica dell’approfondimento).
Invece di mettere mano al sistema dell’accoglienza dei richiedenti asilo, che da (in verità, poche) vette di eccellenza giunge a situazioni indecenti per qualsiasi paese che aspiri a dirsi civile (condizioni inumane di accoglienza, centri di accoglienza nei quali donne richiedenti asilo vengono stuprate o avviate alla prostituzione, richiedenti asilo privi di qualsiasi forma di assistenza e costretti a vivere in tendopoli nelle sponde dei fiumi, ecc.) la scelta del Governo è stata quella di erodere i diritti dei richiedenti asilo. Questo lasciando inalterato il sistema di sfruttamento economico del fenomeno complessivo dei flussi migratori per richiesta di asilo (non sembra essere intaccato infatti il sistema dei Centri di Accoglienza Straordinaria, affidati spesso a soggetti privi di ogni competenza, oltre che di scrupoli), ed anzi istituzionalizzando la prestazione di lavoro volontario da parte del richiedente asilo in favore della collettività.
Ma non è solamente sul terreno della protezione internazionale che il decreto legge 13/2017 incide negativamente.
Il decreto, infatti, tenta di normare gli Hot Spot, qui definiti “punti di crisi” (ma nella relazione illustrativa definiti come hot spot), quei centri che da mesi sono utilizzati non solo per il soccorso e la prima accoglienza dei migranti soccorsi in mare, ma anche come luoghi di concentrazione dei migranti rintracciati sul territorio italiano, che qui vengono condotti sino ad oggi senza alcuna base normativa. L’art. 17 del decreto – già entrato in vigore sul punto – prevede che in questi centri possano essere condotti tutti gli stranieri rintracciati sul territorio nazionale in posizione di irregolarità, al fine di essere sottoposti a rilievi fotodattiloscopici. Già prima dell’introduzione di questa previsione molti migranti sono stati condotti coattivamente in alcuni hot spot (molto utilizzato è stato l’hot spot di Taranto), a seguito di veri e propri rastrellamenti per poi essere espulsi (si pensi al caso dei cittadini sudanesi rastrellati a Ventimiglia in agosto, molti dei quali trasportati in condizioni inumane a Taranto, per poi essere ritrasportati a Torino per essere rimpatriati in Sudan). In molti casi sono stati portati con la forza all’hot spot di Taranto dei richiedenti asilo controllati a centinaia di chilometri di distanza, che molto semplicemente non avevano con sé il permesso al momento del controllo, poi rilasciati a Taranto (senza neppure tante scuse e lontani dal luogo in cui vivono). Il tutto con ingenti spese di trasporto.
A seguito dell’entrata in vigore del decreto tutto ciò viene regolamentato; la nuova normativa non riesce però a risolvere l’evidente illegittimità costituzionale della procedura, atteso che si tratta con tutta evidenza di una privazione della libertà personale del tutto privo di controllo giurisdizionale (in nessun altro modo può infatti definirsi la condizione di chi viene fermato a Ventimiglia o a Como, costretto a salire su un autobus che lo scaricherà, dopo una giornata di viaggio e più di mille chilometri, impossibilitato a muoversi e ad allontanarsi, sottoposto al costante controllo della scorta della polizia, e qui costretto a farsi fotosegnalare ed a trascorrere la notte – o più notti – in un tendone chiuso).
Ma c’è di più: nell’aspirazione al controllo dei migranti si prevede (anche questa disposizione è già in vigore) che in caso di rifiuto di sottoporsi alla rilevazione delle impronte lo straniero possa essere trattenuto presso un C.I.E. (o meglio un C.P.R. – centro di permanenza per i rimpatri – come si chiamano oggi i CIE a seguito di questo restyling lessicale) sino ad un periodo di trenta giorni (pur prevedendo in questo caso la convalida giurisdizionale). C.P.R. che, secondo le nuove disposizioni, dovranno essere distribuiti in tutto il territorio nazionale (nella relazione tecnica si prevede che il numero dei posti disponibili in tali strutture dovrebbe passare dai circa 360 attuali a 1600) e dovranno essere per quanto possibile collocati “in aree esterne ai centri urbani che risultino più facilmente raggiungibili”.
Questo nuovo orizzonte concentrazionario necessiterà di fondi; tra le altre fonti si prevede che “al fine di garantire l’esecuzione delle procedure di espulsione, respingimento e allontanamento” è autorizzata una spesa per il 2017 di oltre 19 milioni di euro “a valere sulle risorse FAMI – Fondo Asilo, migrazione e integrazione”! Si palesa dunque che obiettivo delle modifiche non è migliorare le pessime condizioni di accoglienza dei migranti e dei richiedenti asilo, ma rendere più efficace il sistema di espulsione e respingimento.
Tutto questo anche a costo di sacrificare il rispetto dei diritti umani, di erodere il diritto di difesa, di creare un diritto speciale, minore, dei migranti, di privare di contenuto il diritto di asilo, come peraltro già dimostrano gli accordi di riammissione che l’esecutivo non si è vergognato di fare con paesi che non possono certo definirsi fari di democrazia e rispetto dei diritti, come il Sudan di Al Bashir (già accusato di genocidio e crimini di guerra dalla Corte Penale Internazionale) o la Libia di al Sarraj (paese dove le torture e le condizioni inumane e degradanti dei migranti nei centri di detenzione sono denunciate da molti organismi di tutela dei diritti umani).
Il Legal Team Italia contesta fermamente il metodo con il quale queste norme sono state introdotte (con un decreto legge, senza alcuna previa consultazione con la società civile e con le categorie anche professionali che ben conoscono la materia e quotidianamente la applicano – a partire dall’avvocatura, ma anche dalla magistratura – di fatto impedendo una compiuta dialettica parlamentare), ma censura soprattutto il merito del provvedimento, che erode i diritti e non pone freno allo sfruttamento dei migranti, e del fenomeno in sé della migrazione, ed allarga a dismisura gli aspetti repressivi della normativa a scapito delle condizioni di accoglienza.
Il Legal Team Italia lancia quindi un appello alle forze democratiche del paese perché si oppongano fermamente alla conversione in legge del decreto.
Milano, 24/2/2017
LEGAL TEAM ITALIA