Monitoraggio
La morte di Carlo e la sentenza della Corte Europea
LA MORTE DI CARLO GIULIANI E LA SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA
di Ezio Menzione
Anche la Corte Europea, con una sentenza pubblicata ieri, si è espressa sostenendo che il carabiniere Placanica, in quell’ormai lontano 20 luglio 2001, durante il G8, avrebbe agito per legittima difesa quando sparò ed uccise Carlo Giuliani.
Strasburgo come Genova: non c’è un giudice a Berlino, verrebbe fatto di dire.
E’ così, indubbiamente. Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non è immune da pressioni politiche; è ben lungi dal non praticare compromessi; conosce bene fin dove può spingersi senza troppo infastidire gli stati membri.
Eppure sono convinto che tutto sommato i giudici europei si siano spinti laddove la magistratura genovese non ha nemmeno inteso affacciarsi.
La sentenza si muove su tre capisaldi:
Primo. Placanica ha sparato per legittima difesa e comunque aveva il diritto di farlo. E’ la stessa ipotesi su cui si mosse il Giudice genovese che archiviò la posizione del carabiniere. Conclusione non condivisibile, viste le risultanza dell’indagine (quella di allora e quel tanto di verità che sul punto è emerso successivamente) che la famiglia Giuliani e per loro l’Avv.Niccolò Paoletti aveva esposto con chiarezza alla CEDU. Per lo meno, però, la CEDU fa piazza pulita dell’ipotesi del proiettile vagante che impatta in un calcinaccio volante. Non ci credeva nessuno già allora. Ora possiamo dire fondatamente che si tratta di una frottola. Placanica ha sparato e non poteva non calcolare che sparando in quel modo e in quel contesto avrebbe ammazzato qualcuno.
Naturalmente, come alcuni hanno ipotizzato, anche qualcun altro può avere sparato in quegli attimi, e Placanica ha fatto da capro espiatorio. La sentenza della CEDU non prende nemmeno in considerazione questa ipotesi.
Secondo. Ma ciò rimanda ad un secondo punto importantissimo: la CEDU censura la magistratura italiana per avere frettolosamente chiuso il caso, laddove – come ha sempre chiesto la famiglia Giuliani – soltanto un processo dibattimentale avrebbe consentito di far luce sui mille aspetti oscuri della vicenda.
E’ questo senz’altro il punto più importante della sentenza. Su questo fronte Haidi e Giuliano escono vittoriosi.
Terzo. Comunque la morte di Carlo è da ricondursi ad una serie di carenze organizzative, indicazioni e comandi contraddittori, insomma una gestione carente e colpevole dell’ordine pubblico nei giorni del G8 genovese. Non è una novità, a dire il vero. Si poteva addirittura parlare di volontà precisa di affossare l’intera Genova nel caos e nel dramma. Già le tre sentenze di primo grado genovesi (quella contro i 25 manifestanti, quella su Bolzaneto e quella sulla Diaz) avevano sottolineato o almeno rimandato a questi aspetti. Che tutto ciò sia riconosciuto da una Corte internazionale non è però privo di importanza.
La Corte ne ha fatto discendere addirittura una multa contro il governo italiano a favore dei Giuliani. Insomma, se le cose fossero state organizzate meglio e non si fosse contribuito ad esasperare fatti e toni, Carlo con ogni probabilità non sarebbe morto. Non è molto, diciamolo pure, a 8 anni di distanza dai fatti; ma è senz’altro una condanna politica per chi – soprattutto, ma non solo, a destra – ha sostenuto che tutto in quei giorni era sotto controllo e che il macello fu dovuto solo ai black block e ai manifestanti violenti.
La sentenza CEDU, per come ricostruisce i fatti, autorizza la famiglia Giuliani a chiedere comunque i danni per la morte di Carlo con un altro processo in sede civile. Non sappiamo se Haidi e Giuliano vorranno intraprendere questa ulteriore battaglia: non si può chiedere anche questo a due persone da 8 anni in prima fila nel ricercare la verità sulla tragedia che li ha investiti, e che assieme a loro ha investito tutti noi; c’è un limite a tutto. Ma se vorranno affrontare anche questa battaglia, troveranno sostegno fra chi non dimentica quel venerdì pomeriggio di luglio nel 2001.
articolo su sentenze Genova
GILBERTO PAGANI AVVOCATO DI PARTE CIVILE PROCESSI G8 GENOVA 2001 “BOLZANETO” E “DIAZ”
pubblicato su “Pace Conflitti e Violenza” - Giornale della Società Italiana di Scienze Psicosociali per la Pace” anno 7 n. 7 – www.sispa.it
Sentenza bolzaneto
I processi Diaz e Bolzaneto, in merito ai fatti accaduti durante il G8 di Genova 2001, rappresentano due situazioni molto differenti.
Nell’affrontare il processo di Bolzaneto il lavoro del tribunale ha incontrato un limite oggettivo costituito dalla mancanza di una di una legge sulla tortura e conseguentemente dalla mancanza di strumenti adatti a perseguire i reati verificatisi nella caserma durante il g8.
Nel nostro Paese, nonostante gli impegni presi a livello internazionale, non esiste ancora una legge sulla tortura né sembra che gli organi legislativi siano intenzionati a lavorare in questa direzione.
Quindi il tribunale si è trovato nella condizione, che pur verificando che i fatti accaduti dentro la caserma di bolzaneto rientravano secondo i parametri internazionali nella casistica della tortura , di non poter punire gli imputati per il vero reato commesso in quanto il reato “tortura” non risulta presente nel nostro ordinamento.
Nel processo per i fatti di Bolzaneto l'aspetto positivo da rilevare è che la verità intorno ai fatti e agli avvenimenti accaduti all’interno della caserma di Bolzaneto in quei terribili giorni si è imposta con evidenza e si può affermare che vi è stata azione di tortura nei confronti dei testimoni.
Gli episodi sono stati narrati dai testimoni – che in questo caso erano parti lese -, in maniera così concordante e onesta da rendere le dichiarazioni assolutamente attendibili, ricevendo quindi il riconoscimento di una totale credibilità da parte del tribunale. Da parte dei testimoni-vittime c’è stata una grande onestà intellettuale e morale nel raccontare l’accaduto, onestà intellettuale e morale che invece è mancata completamente nelle ricostruzioni dei fatti da parte degli imputati,da parte dell’ apparato statale rappresentato qui dalle forze di polizia, dalle forze delle guardie di custodia che hanno frapposto ogni genere di ostacoli al raggiungimento della verità.
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Quindi, valutazione in merito al processo Bolzaneto porta con sè una parte di giudizi positivi e una parte di giudizi negativi. Positivi perché, seppur in presenza di difficoltà, il tribunale è riuscito a far emergere una serie di verità, di accertare e dichiarare ufficialmente e pubblicamente che fatti gravi all’interno della caserma di Bolzaneto in quei giorni del G8 sono avvenuti.
. Non a caso l'imputato condannato alla pena più alta di cinque anni e sei mesi, l’ispettore Antonio Gugliotta, all’ epoca dei fatti il più alto in grado nella struttura, è stato condannato in quanto responsabile del sito, dimostrando in quell’occasione di non aver assolutamente operato in modo da assolvere alla sua funzione di garanzia e nel rispetto della gestione dei detenuti, ossia quella di tutelare l'incolumità fisica e morale dei detenuti che siano per un qualsiasi motivo ristretti in un sito carcerario.
Se da un lato il tribunale ha verificato e accertato molte verità, dall’altro non ha ritenuto provate alcune circostanze e alcuni elementi che secondo noi avvocati di parte civile erano assolutamente provati in relazione alle responsabilità dei vari capi servizio, dei vari funzionari e ufficiali che in quel momento comandavano e avevano posizioni di responsabilità all'interno della struttura di Bolzaneto.
Ad esempio due responsabili sono stati condannati per il reato minore di “violenza contro detenuti” e non sono stati condannati per il reato di “abuso d'ufficio”, in quanto il tribunale non ha ritenuto pienamente provata la loro volontà cosciente di arrecare danno ai detenuti.
Dal punto di vista della difesa emerge il contrario con molta chiarezza dai fatti esposti in maniera univoca da tutti i detenuti. Secondo noi sembra che costoro abbiano avuto una volontà non solo cosciente ma anche totalmente volontaria nel provocare danni ai detenuti.
Un altro aspetto assolutamente incomprensibile che emerge, è la mancata condanna dei funzionari che hanno predisposto i moduli di primo ingresso e hanno falsificato tali moduli facendo in modo risultasse che tutti gli arrestati stranieri avessero rifiutato la possibilità di esser messi in contatto con i loro consolati e le loro famiglie.
E questo è un aspetto piuttosto grave perché un pubblico ufficiale che in un atto pubblico dichiara la realtà di un accadimento avvenuto al suo cospetto , costituisce una fonte privilegiata di verità. Dire al contrario, come ha pronunciato il tribunale, che non è molto importante che il pubblico ufficiale attesti veramente quel che è avvenuto anche se attesta in modo difforme dal vero le dichiarazioni delle persone che hanno rilasciato in sua presenza, ecco questo costituisce una cosa grave e inconcepibile in uno stato di diritto..
Non posso far altro che ribadire che la valutazione sulla sentenza di Bolzaneto da parte degli avvocati di parte civile è chiaro/oscura, ci sono aspetti positivi e aspetti negativi.
Sentenza diaz
Molto diversa invece la valutazione sulla sentenza Diaz. Anche in questo caso tutti i fatti sono stati confermati. Il tribunale non ha avuto dubbi nel dire e ritenere che tutte le violenze fisiche e morali che sono state commesse all'interno della scuola Diaz durante quella notte, sono effettivamente avvenute, effettivamente non era un covo di terroristi di Black Block, ma solamente un dormitorio dove ragazzi passavano l'ultima notte prima di tornare a casa e che quindi le violenze non avevano alcun motivo, alcuna giustificazione.
Se questo è l’ aspetto positivo, l'aspetto negativo è che a parte il vicequestore Canterini che comandava il settimo nucleo, sono stati colpiti solo personaggi di secondo piano.
Perché tutti i funzionari più alti in grado , praticamente tutta la dirigenza della Polizia di Stato che era presente, che comandava e coordinava l'azione, e che quindi era a conoscenza di ciò che avveniva, ebbene, tutte queste persone non sono state condannate.
Il tribunale ha condannato il vice questore che ha introdotto materialmente le molotov nella scuola Diaz, molotov utilizzate come prova per sostenere la tesi che all'interno della Diaz c'erano i terroristi violenti, ma non sono stati condannati altri funzionari superiori che hanno avallato questa operazione.
Così come non è stato preso nessun provvedimento nei confronti dei 13 poliziotti che hanno firmato il verbale che attestava il falso dichiarando un ritrovamento di armi e di altri oggetti pericolosi all'interno della Diaz, dichiarazione falsa ma strumentale che è servita alla costruzione
Di un teorema in cui inventando la presenza di violenti black block nella scuola potesse poi giustificare il brutale intervento delle forze dell’ordine .
Non solo non sono mai state ritrovate armi all’interno della diaz ma la polizia ha provveduto alla costruzione di prove false con l’introduzione di molotov portate appositamente dall’esterno…
La conclusione che si trae inevitabilmente da questi fatti è è che i responsabili presenti abbiano dichiarato il falso essendone coscienti e nel contempo abbiano lavorato alla costruzione di false prove per delineare un falso scenario ai danni delle malcapitate persone che si trovavano a dormire all’interno della scuola.
Il paradosso è che il tribunale pur ricostruendo la realtà dei fatti deresponsabilizza la polizia considerando plausibile che un singolo funzionario esegua un ordine ma che quest ordine non sia stato impartito da un superiore , ma si sia autogenerato . Ma in un organizzazione fortemente gerarchica simile a quella militare e burocratizzata come la polizia tutti sanno che non c’è spazio per nessuna azione che non rispetti la catena di comando gerarchica e questo vale per il semplice poliziotto ma anche per il funzionario di alto grado, vale per tutti . Sicuramente la polizia non è una libera associazione di persone che trovandosi per caso agiscono alla rinfusa ognuno secondo la propria iniziativa, non a caso spesso si parla di coordinamento delle forze di polizia .
Danno psicologico
Nelle due sentenze ma soprattutto nella sentenza diaz c’è una totale mancanza di riconoscimento del danno psicologico e morale subito dalle vittime come conseguenza della improvvisa, immotivata, brutale violenza a cui sono state sottoposte.
Noi come difensori delle parti civili abbiamo portato in aula perizie redatte da psicologi che riguardavano alcune vittime che erano state malmenate sia nella Diaz che alla caserma Bolzaneto. Questi professionisti hanno a lungo spiegato in tribunale la sindrome post traumatica da stress con ampia argomentazione. Ma soprattutto nella sentenza Diaz non c'è alcun accenno al danno psicologico, non c'è stato alcun riconoscimento del fatto che se una persona viene abusata e maltrattata, al di là dei danni fisici che riporta, subisce inevitabilmente anche un trauma psicologico.
Un danno psicologico di tale portata in altri ambiti è normale che venga riconosciuto e risarcito
Perche non basta stabilire la realtà dei fatti accaduti ma è anche necessario non garantire l’impunita per né per determinate categorie di cittadini né per determinate categorie di reati scomodi come quelli avvenuti a Genova nel 2001.
Nella sentenza Bolzaneto rispetto alla Diaz le parti lese hanno ricevuto risarcimenti per i danni fisici, ma c'è stata una totale svalutazione dell'aspetto psicologico nonostante siano state prodotte perizie di psicologi , nonostante le vittime delle violenze siano risultate positive rispetto ai test che verificano la presenza di disturbi di tipo post traumatico che si instaurano dopo essere stati esposti a situazioni violente . Il tribunale non ha ritenuto di dover risarcire in alcuna misura il danno psicologico riportato dalle vittime delle violenze.
Danno psicologico dei familiari
Durante il processo diaz è emerso in maniera chiara che le famiglie delle vittime, spesso ragazzi intorno ai 20 anni, sono state profondamente scosse dagli avvenimenti che hanno coinvolto i loro figli. Tutta la costellazione delle relazioni familiari ha subito un terremoto, anche i genitori dei ragazzi hanno subito una enorme pressione per quegli avvenimenti che improvvisamente e ingiustificatamente li rendevano protagonisti di una realtà fortemente negativa fatta di ospedali, e figli feriti , false e abnormi accuse nei confronti dei figli da parte della polizia , di colpo socialmente diventavano famiglie non credibili e anzi esempio di famiglie negative per aver al proprio interno figli protagonisti negativi accusati dalla polizia di ogni nefandezza. Si può affermare che la serenità in quelle famiglie se ne è andata per sempre. E nella mente dei ragazzi e dei familiari rimarrà per sempre la paura che situazioni del genere si possano ripetere e che i colpevoli possano rimanere impuniti e irridenti. Per questo motivo alcuni genitori all’interno dei processi diaz e Bolzaneto si sono costituiti parte civile.
La sentenza Bolzaneto ha riconosciuto il danno subito dai genitori e ha concesso ai genitori delle vittime alcuni risarcimenti seppur limitati, mentre la sentenza Diaz non ha assolutamente tenuto in considerazione questo aspetto.
In questo modo la sentenza diaz sembra stabilire che per essere risarciti si debba essere massacrati fisicamente, senza riconoscere l’esistenza dei danni prodotti dal massacro psicologico.
Le minacce, le umiliazioni, lo spavento, l’essere in balia di torturatori per delle ore, oppure essere aggredito durante il sonno senza nessuna motivazione, aggredito non da delinquenti ma da persone che vestono una divisa delle forze dell'ordine dello stato, provoca uno scompenso enorme sia per chi ha subito violenza, ma anche per i familiari che hanno vissuto questi momenti in un'epoca immediatamente successiva e oltre. Di tutto questo il tribunale non ha assolutamente tenuto conto e questa mancanza di attenzione per il benessere delle persone, mi sembra una pagina molto brutta per la giustizia italiana perché svilisce l’individuo non dando valore alla persona nella sua interezza.
Ripensando oggi a queste sentenze, e a conclusione di tutto, devo comunque dire che sebbene la giustizia non sia stata completamente raggiunta, gran parte della verità è emersa. La verità è venuta alla luce. Vergogna invece deve ricadere su chi aveva il compito di, non soltanto di prevenire questi fatti, ma negli anni successivi aveva il compito di ri-portare giustizia attorno a questo evento. Nel senso che tutti gli accusati, condannati o non condannati, sono stati in seguito promossi ad alte cariche invece che essere puniti. E questa è una cosa veramente grave.
Sono convinto che questa vicenda continuerà a pesare sulle vittime che hanno subito direttamente queste violenze e questi soprusi, ma anche su tutti noi in termini di perdita di fiducia rispetto alle garanzie e alle tutele che lo stato può dare ai suoi cittadini.
Gilberto Pagani è presidente dell'associazione Avvocati Europei Democratici e tra i fondatori del Legal Team Europa e della Commissione Internazionale "Diritti Fondamentali e globalizzazione". Da otto anni è avvocato di parte civile nei processi G8 Genova 2001 Bolzaneto e Diaz.
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Dario Rossi - Report dalla Palestina
Dal 3 all’11 Giugno 2008, una delegazione composta da avvocati e magistrati, organizzata dai Giuristi Democratici in collaborazione con la campagna Freedom Now promossa dall’Arci Toscana (volta alla liberazione di tutti i detenuti minori palestinesi), si è recata in Palestina per uno studio sulle condizioni dei palestinesi minorenni detenuti nelle carceri israeliane.
Il 6 Giugno la delegazione ha partecipato alla terza conferenza internazionale di Bil’in Terza Conferenza Annuale (4-6 giugno) organizzata dal Comitato popolare e
di resistenza nonviolenta di Bil’in, vicino Ramallah, a cui hanno preso
parte la Vice Presidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini contro il Muro di separazione, che ha separato la popolazione dalle terre coltivabili. La manifestazione si svolge tutti i Venerdì, è tradizionalmente pacifica; gli abitanti hanno anche vinto un ricorso alla Corte Suprema israeliana che ha dichiarato l’illegittimità del tracciato del Muro, che deve essere rimosso, ma la sentenza non è stata eseguita così la popolazione continua la sua protesta. Quando il nostro corteo ha raggiunto la rete di separazione, i soldati hanno senza preavviso ed in assenza di provocazioni, hanno sparato una raffica di lacrimogeni ad altezza d’uomo, uno dei quali ha colpito il magistrato Giulio Toscano a pochi centimetri dall’occhio.
La nostra delegazione ha incontrato gli avvocati della sezione palestinese di Defence For Children International nelle loro sedi di Ramallah, Hebron e Betlemme, il Ministro per i detenuti palestinesi, oltre a altre associazioni, sia israeliane che palestinesi (Hamoked, Ichad, Al Haq, l’Hebron Riabilitiation Center, l’associazione Free Marwan Barghouti,), che si occupano a vario titolo delle discriminazioni perpetrate dallo stato di Israele ai danni della popolazione palestinese nei territori occupati. Importanti anche gli incontri con ex detenuti minorenni, che hanno testimoniato gli abusi e le violenze subite nelle carceri israeliane.
Dall’inizio della seconda Intifada nel Settembre 2000, sono stati arrestati più di 7000 minori ed attualmente ve ne sono oltre 300 tuttora detenuti nelle carceri israeliane. Uno degli Ordini Militari israeliani che disciplinano ogni aspetto della vita nei Territori Occupati, stabilisce che i palestinesi diventano maggiorenni a 16 anni di età, in spregio alla convenzione internazionale sui Diritti dei Fanciulli, ratificata anche da Israele, ed al fatto che viceversa gli israeliani, risiedano essi in Israele o nelle colonie dei Territori, raggiungono la maggiore età a 18 anni.
Per i minori palestinesi non esistono norme di procedura speciali, né un codice penale minorile, né speciali centri di detenzione, né personale specializzato nel trattamento dei minori. L’arresto, l’interrogatorio, il processo, la detenzione dei minori non si differenziano per nulla rispetto ai maggiorenni; l’unica differenza consiste nella misura della pena, ma incredibilmente l’età dell’imputato è valutata con riferimento al momento della condanna, e non della commissione del reato.
I minori vengono tenuti nelle stesse celle in promiscuità con gli adulti.
Tutte le carceri per palestinesi sono site nel territorio israeliano, così come i Tribunali Militari, in violazione della IV Convenzione di Ginevra (ratificata da Israele), che vieta la deportazione della popolazione residente nel territorio occupato all’interno dello stato occupante.
La nostra delegazione ha assistito ad alcuni processi celebrati nel carcere militare di OFFER. I minori vengono portati in udienza a gruppi di due, con mani e piedi incatenati; durante l’udienza gli vengono tolte solo le manette ai polsi. Il processo si svolge davanti ad una corte marziale composta solo da militari, e si svolge tutto in lingua ebraica, con l’ausilio di un interprete che traduce solo una parte ridotta di quanto viene detto in udienza. Le udienze durano circa 10 minuti per ogni imputato, e vengono continuamente introdotti altri imputati, che si avvicendano velocemente.
All’udienza possono assistere i parenti degli imputati, ma è loro vietato avvicinarsi ai detenuti. Una guardia li fa sistematicamente sedere nei posti più lontani, in ultima fila.
Gli avvocati palestinesi devono conoscere la lingua ebraica, ed richiedere alle autorità il permesso per entrare in territorio israeliano per incontrare i clienti e partecipare ai processi; altrettanto devono fare i parenti dei detenuti; per ottenere un permesso ci vogliono spesso parecchi mesi, e spesso viene negato. Ai parenti di età compresa tra i 16 ed i 35 anni, è vietato ogni visita ai detenuti.
Ai genitori arrestati, in occasione delle visite di figli molto piccoli, è vietato anche l’abbraccio con i figli.
I detenuti della Striscia di Gaza stanno ancora peggio, in quanto da più di un anno, è preclusa la visita di congiunti.
Nelle carceri le condizioni igienico-sanitarie sono disastrose, è negato l’accesso a trattamenti sanitari adeguati così come del tutto inadeguata è la possibilità per i minori detenuti di proseguire gli studi e godere di una qualsivoglia istruzione (una media di due ore la settimana di lezione, quando ci sono, senza alcuna distinzione per classi e per età).
Il 50% delle condanne nei confronti dei minori è relativa al lancio di sassi, punito con pene fino a 10 anni di reclusione e che costituisce di per sé un crimine anche qualora questi sassi non colpiscano né persone nei veicoli ma siano semplicemente indirizzati verso “infrastrutture” di sicurezza, come ad esempio il muro di separazione, Per i reati per i quali è prevista una pena massima inferiore a 10 anni, non è prevista nemmeno la necessità dell’assistenza di un difensore.
Alcuni testimoni:
Abbiamo incontrato un ragazzo di 14 anni, prelevato da uomini in borghese presso la propria abitazione alle 4 di notte, spruzzato con il gas sulla faccia, colpito più volte anche quando era in terra, e durante gli interrogatori, costretto a firmare una confessione in ebraico, lingua a lui sconosciuta (come la gran parte degli arrestati); è stato condannato a 4 mesi e mezzo di reclusione per aver lanciato un sasso nella direzione del muro, senza neppure colpirlo. Durante la detenzione gli è stato consentito di vedere i genitori solo per due volte.
Ad Hebron abbiamo incontrato i bambini di una famiglia, composta da sei fratelli, tutti minorenni, la più piccola dei quali di soli 4 anni, i cui genitori da oltre tre anni sono entrambi trattenuti in detenzione amministrativa (detenzione che viene disposta per motivi di “sicurezza” per la durata massima di sei mesi prorogabili per un numero indefinito di volte e senza necessità di contestare all’imputato alcuna incriminazione). Questi sei fratellini vivono soli con la nonna materna, e hanno visto i genitori pochissime volte. Vivono con un sussidio dell’ANP di 300 euro mensili, ed hanno smesso di andare a scuola. Israele ha offerto alla sola madre la possibilità di riacquistare la libertà a condizione che accetti di trasferirsi per sempre in Giordania.
Il quadro offerto alla delegazione di giuristi è estremamente angosciante.
La politica di Israele è volta a stroncare le nuove generazioni di palestinesi, procedendo ad arresti di massa di bambini dai 13 anni in su, trattenuti anche a più riprese per anni nelle carceri israeliane, privi di istruzione e di adeguate cure, destinati a crescere in carceri in cattive condizioni fisiche, di salute e culturali, e, molto probabilmente, marchiati per sempre da un desiderio di vendetta nei confronti degli israeliani.
“You welcome”, ci ripetevano in continuazione questi ragazzi, mentre ci raccontavano le loro storie; col nodo in gola, a volte, era difficile fare delle domande.
Ezio Menzione - Bolzaneto e le altre sentenza
BOLZANETO E LE ALTRE SENTENZE
di Ezio Menzione
Quasi tutti i commenti alla sentenza genovese sui fatti di Bolzaneto sono stati negativi: le molte, troppe assoluzioni, il non avere riscontrato il reato di abuso d’ufficio, la mitezza delle pene comminate, in particolare a quel medico penitenziario, Dr.Toccafondi, che, nella ricostruzione unanime delle vittime, contribuì non poco alle sevizie, con il suo sorvolare sulle ferite, le ecchimosi gli ematomi.
Sono d’accordo, non è una sentenza bella, sembra quasi che i giudici abbiano avuto paura ad affondare il bisturi. In parte anche perché col clima di omertà che aveva circondato e limitato le indagini (la polizia che non voleva fornire e di fatto non fornì ai PM foto degli agenti utili per i riconoscimenti) i risultati del processo non potevano essere che parziali. Specialmente se chi giudica si pone anche problemi di garantismo (sempre a senso unico, può obbiettare qualcuno).
Ma credo che questa sentenza meriti alcune altre considerazioni, meno negative.
E’ la prima volta che lo Stato (i giudici) riconosce la responsabilità di un gruppo consistente di propri servitori per episodi di violenza contro cittadini che, per essere nelle mani dello Stato stesso (in carcere) avrebbero dovuto essere intangibili. All’inizio di questa vicenda giudiziaria (7 anni fa, quando cominciarono le indagini), conoscendo dell’impunità che sempre ha accompagnato poliziotti, carabinieri e guardie penitenziarie violenti, nessuno avrebbe scommesso su questo risultato. All’indomani del proscioglimento di Placanica per l’omicidio di Carlo Giuliani, poi, nessun spiraglio ottimista era consentito.
Tutti hanno già detto dell’atteggiamento omertoso tenuto dalle forze dell’ordine in fase di indagini, ma anche in fase di dibattimento. Non è privo di significato che il tribunale genovese abbia rimandato gli atti in procura perché si proceda per falsa testimonianza nei confronti di molti testi appartenenti appunto alle schiere di chi l’ordine avrebbe dovuto tutelarlo. Si sapeva che l’individuazione delle singole responsabilità (chi aveva picchiato chi) non sarebbe stato affatto facile.
L’assenza dal nostro codice penale del reato di tortura non è priva di effetti. Non è per niente facile surrogare tale dato contestando l’abuso d’ufficio e i reati materiali (percosse, lesioni, maltrattamenti, magari aggravati dai futili motivi). Alla fine, l’assenza produce i suoi benefici risultati sui torturatori.
Alla fine, si diceva, ma qui non siamo ancora alla fine. Fra qualche mese molti reati andranno in prescrizione, ma non tutti, se il PM interporrà appello.
Soprattutto credo si debba collocare questa sentenza nell’arco delle pronunce che riguardano i fatti di quei mesi del 2001.
Non è un caso che il risultato peggiore (in termini giuridici e, per quel che conta, in termini di verità) si ottenne sull’omicidio Giuliani, per il quale non si è arrivati al processo.
In tutto gli altri casi, in cui il processo si è celebrato, i risultati sono stati migliori, più aderenti ai fatti.
A Cosenza il teorema del Sud Ribelle è miseramente crollato: vittoria completa rispetto ad una costruzione faziosa, anzi potremmo dire fantasiosa e priva di ogni supporto.
Ma anche a Genova, il processo contro i dimostranti (genericamente unificati sotto il termine Black Block) si è sfaldato nel suo impianto generale, riconoscendo che non solo non tutte le azioni di costoro potevano essere etichettate come devastazione e saccheggio, ma addirittura che anche nello sconvolgimento dell’ordine pubblico in quei tre giorni vi furono responsabilità precise delle cosiddette forze dell’ordine.
E non dimentichiamo la miriade di piccoli processi per violenza e resistenza nei confronti dei singoli dimostranti, quasi sempre finiti con l’assoluzione di costoro e dunque, implicitamente, col riconoscimento della responsabilità di chi aveva proceduto agli arresti.
Staremo a vedere cosa si deciderà sul macello della Diaz
Credo si possano trarre alcune conclusioni: prima di tutto, che quando si va al dibattimento anche la prospettiva di chi andò a Genova per manifestare liberamente e fu invece picchiato o arrestato o tutt’e due le cose viene tenuta in qualche conto. L’impunità assoluta delle forze dell’ordine non è più garantita. Nonostante che la blocca-processi mirasse proprio a bloccare anche quelli di Genova; e così l’accorciamento delle prescrizioni (tanto per dire quanto stessero e stiano a cuore ai governanti i loro prodi servitori). Proprio il non vedere più garantita l’impunità di poliziotti e sgherri vari può essere considerato un grosso passo avanti imposto dal movimento che dopo Genova si è espresso e ha lottato per anni.
Infine, un processo è pur sempre un processo, la verità che si ricostruisce in aula è sempre un pallido specchio (quando non una parodia) di ciò che è realmente accaduto. E ciò è tanto più vero quando si tratta di processi collettivi (per i molti imputati, per le molte parti offese, per lo scenario da ricostruire). Quasi mai il risultato è tutto bianco o tutto nero. Il giudizio politico può anche esserlo, il responso giudiziario – fatalmente – mai. Il processo è sempre anche un “luogo di compensazione”, in cui non soltanto vengono contemperati i punti di vista, le testimonianze discordi, ma soprattutto è il luogo in cui, sotto la fragile campana di vetro della norma penale, vengono soppesati ed infine valutati con maggiore o minore timidezza o arroganza gli interessi in gioco, per mediarli e, in qualche modo, pacificare gli animi. Sentenze di questo tipo non abbracceranno quasi mai un unico punto di vista (ma non è stato così per il Sud Ribelle, come ho detto). Sentenze di questo tipo, però, anche solo vent’anni fa sarebbero state impensabili.